Venerdì 21 giugno, si è tenuto presso la sede di Anci Lombardia il secondo seminario nell’ambito della collaborazione tra Anci Lombardia, ANCI Lombardia Salute e NeASS Lombardia, volta ad approfondire il rapporto fra la programmazione di settore, prevista dalle delibere regionali e dalle relative discipline regionali, e la co-programmazione, prevista dal Codice del Terzo settore. Nell’incontro odierno dal titolo “Passaggi metodologici per promuovere architetture collaborative nei processi di co-programmazione”, sono intervenute le esperte di Anci Lombardia Silvia De Aloe e Chiara Girola.
Ha introdotto i lavori Anna Meraviglia, coordinatrice del Dipartimento Welfare di Anci Lombardia che ha ricordato e circostanziato i temi proposti nell’ambito della programmazione zonale e dello sviluppo dei Poli territoriali, che sono stati messi da Regione in capo alle ASST. “Tra gli iscritti, oggi – ha spiegato – abbiamo Comuni, Ambiti, referenti del sistema socio sanitario regionale ed enti strumentali dei Comuni, un panorama abbastanza nutrito dal momento che abbiamo voluto realizzare questi incontri in collaborazione con NeASS, network delle aziende speciali consortili, e Anci Lombardia Salute, con il tentativo di tenere insieme le due programmazioni che hanno la stessa tempistica, che si intersecano con il tema sulle programmazione, sullo scenario della coprogrammazione prevista nel codice del terzo settore. Dopo l’inquadramento normativo dello scorso seminario, oggi affrontiamo processi e metodi dentro la scatola della coprogrammazione in una dinamica di territorio”.
“L’incontro di oggi verteva sull’intreccio tra il processo di coprogrammazione e il procedimento di coprogettazione prendendo spunto da quello che Luciano Gallo ed Ettore Uccellini ci hanno messo a disposizione nell’incontro precedente” ha spiegato Silvia de Aloe. “Abbiamo focalizzato l’attenzione sull’importanza di ragionare in termini di processo di coprogrammazione perché è ciò che consente di dare massima espressione alla responsabilità che si prendono la pubblica amministrazione e il terzo settore quando attivano un procedimento di coprogrammazione finalizzato a costruire un’amministrazione condivisa per rispondere alle nuove sfide di innovazione che i territori e che il Welfare di comunità richiedono. Abbiamo quindi approfondito quanto serva per riuscire a darsi una visione comune e condivisa rispetto a quale comunità e a quale sistema di servizi vogliamo essere, per rispondere alla comunità, alla comunità territoriale e anche quanto, oltre alla visione, dobbiamo poter mettere in campo, un modo organizzativo di interagire che sia effettivamente orientato ad assumersi una responsabilità condivisa rispetto alla coesione della comunità territoriale”.
“In questo dialogo tra procedimento e processo metodologico – ha spiegato Chiara Girola – l’attenzione massima che abbiamo dato è alla costruzione e al riferimento ai passaggi di metodo che esistono e possono tenerci insieme, in funzione di obiettivi condivisi.
Il primo obiettivo macro che orienta lo stare insieme all’interno di processi di coprogrammazione è la direzione del welfare di comunità e di prossimità, un welfare che guarda l’empowerment dei cittadini e della comunità darsi un metodo, etimologicamente metodo è la strada verso. Ecco, quindi, che costruiamo il metodo se abbiamo una direzione condivisa che poi ci consente a ritroso di farci costantemente delle domande e di trasformare gli adempimenti in occasioni e in processi di apprendimento condivisi, di fare dei percorsi di coprogrammazione delle palestre che consentano a tutti di condividere un esercizio della cittadinanza in un’ottica di condivisione delle responsabilità verso la coesione della comunità”.
Partendo dalla riflessione rispetto a qual è il modello organizzativo di cui i vari soggetti sono portatori, Girola ha sottolineato la sfida rappresentata dai processi di coprogrammazione e dalla loro capacità di tenere insieme, dentro un processo, organizzazioni diverse, ciascuna con le proprie criticità e punti di forza dei propri modelli organizzativi interni. “I processi di coprogrammazione – ha spiegato – ci sfidano perché la questione diventa anche l’incontro di modi di guardare la comunità, ma anche di modi di gestire le organizzazioni che si incontrano all’interno dei processi di coprogrammazione. Il modo con cui possiamo andare a gestire una governance territoriale all’interno di processi di coprogrammazione ci riporta alla possibilità, al rischio che si riproduca una gestione del rapporto, in particolare tra pubblica amministrazione e terzo settore, che in qualche modo ricalca modelli gerarchico burocratici o funzionali dove la relazione diventa più fondata sul vecchio modello dell’esecuzione delle progettualità operative. Quindi la logica dell’affidamento in qualche modo riproduce un rapporto tra pubblica amministrazione e terzo settore, di delega dei processi operativi al terzo settore, dove i livelli politico-dirigenziale e gestionale permangono come processi e livelli gestiti dalla pubblica amministrazione, e il terzo settore è in qualche modo nella relazione il braccio operativo, quindi chi esegue qualcosa che magari abbiamo anche dialogato all’interno di tavoli di lavoro, ma in una logica appunto che rimane dell’affidamento dell’esecuzione”.
E allora quali altri possibili modelli di governance?
“Partendo anche dai racconti che abbiamo fatto stamattina che chiedevano proprio di ripensare il modo di stare insieme tra pubbliche amministrazioni, proviamo a immaginare, nell’andare verso la costruzione di architetture collaborative, che cosa ci serve mettere in campo per una governance che ci consenta di esercitare tutti un pezzo di responsabilità dentro la gestione di un processo di coprogrammazione, in una logica di circolarità e bidirezionalità. La circolarità e la bidirezionalità sono un primo punto di attenzione che vogliamo provare a porre dentro questo nuovo modo di stare insieme, che ci consente di non considerare la gestione del rapporto in una logica unidirezionale o piramidale verticistica; quindi, non è la logica della consultazione, dell’ascolto in cui il livello successivo prende atto di quello che l’altro livello produce e non c’è un rimando, un ritorno, ma è la logica di un dialogo costante continuo e circolare”.